Per rompere il ghiaccio pubblichiamo un articolo vintage, pubblicato in origine sulla fanzine "RECONDITA FELICITA’" - 22/06/1980, tiratura 500 copie, supplemento a LA CLASSE OPERAIA - direttore responsabile Enrico BOSIO.

Londra, Marquee Club, un giovedì del marzo 1964, Hamish Grimes present a : "Good evening, Aims ! Walk on my name this time, for bad moon rising, Yardbird rising. I flat, most blues wheedling.....YARDBIRDS !!! Line up : the drums Jim McCARTY, the rhythm guitar Chris DREJA, the bass Paul SAMWELL-SMITH, lead guitar Eric “Sldwhand” CLAPTON, the singer and harm Keith RELF....... FIVE LIVE YARDBIRDS !!!!!"
E con
Too Much Monkey Business , sapido brano di Chuck BERRY, incomincia la leggenda. Fermatevi un attimo, appadinogliate l’auricolo, inspirate profondo.....
....... La SCHIZOFRENIA è NECESSARIA!
A quell’epoca era tradizione dividere le apparizioni delle bands in due atti. Il primo intorno alle 8.15 p.m., e il secondo alle 10.45 p.m. La maggior parte dele bands utilizzava la prima per riscaldarsi, e gli ascoltatori si infiammavano tantissimo. Nella pausa fra i due atti ognuno si rintanava nell’oscuro e fumoso pub e ... giù
pinte di birra o di qualsiasi altra bevanda fortificante, cosicché il secondo diventava invariabilmente il primo. INTERVALLO. Un consiglio: agGRAPPAtevi col bicchiere.

"La sera che incidemmo Five Live Yardbirds" come ricorda Giorgio GOMELSKY "non fece eccezione. Malgrado il freddo fuori, dentro il caldo era insopportabile e sul palco il gruppo si muoveva in una pozzanghera di sudore".
Se nel frattempo avete messo sul piatto il tormentato disco, capirete perché la voce di Relf appare rauca e rovinata, e i chitarristi stiano perennemente accordando. Il concerto sta per finire,
I am the man è il becchime che nutre il pollo e lo trasforma nel rapace predatore di Here ‘Tis, esorcizzando il Dies Irae nell’incubo Ellas “Say man” McDaniel alias Bo Diddley.

Nel nome del Rock, Padre e Spirito Santo della nuova gente, aiutiamoci a superare l’alienazione fragile del paese dei più
NEVER MIND THE BOLLOCK
Furono veramente i profeti del Rock, e fu la loro tragedia che permise ad altri di percorrere le vie da loro preparate, senza che essi ne avessero alcun beneficio o riconoscenza. Che il suono Yardbirds sia stato lo squillo di tromba della rivoluzione rock, è ormai veramente dogmatico, tanto più che se rivediamo i primi sixties, troviamo palcoscenici pullulanti di “bianchi scherzi inglesi” (come li definisce un giornalista del Melody Maker) che scoprono i divertimenti di una vecchia musica negro-americana. Il blues è stato nella vita di molti schiavi, e solo quando è entrato nella casa rhythm, l’elettrificato ghetto della versione cittadina, ha potuto approdare nei pubs, a far felici tutti coloro che volevamo assaporare questo tipo di vibrazione. Il blues elettrico di Willie Dixon e Jimmy Reed incomincia a muoversi nelle menti di questi irrequieti giovani uomini. Nasce il Rave up, il suono del futuro –the Yardbirds’ sound of the future– come riportano le note di copertina del loro secondo LP americano. E’ un suono nuovo, diverso, corposo, librante ma soprattutto liberante. Baby what’s wrong, la prima incisione (dicembre 1963), non pubblicata (apparirà postuma nel 1973 su "History of British Blues – vol.1"), nella sua ingenuità parla già di cambiamento. Bisogna ricordarsi che gli Yardbirds erano soprattutto Relf, Dreja, McCarty, Samwell-Smith, più una successione di chitarristi solisti che iniziarono leggende viventi e influenzarono i musicisti rock per più di un decennio. Quando Relf in I ain’t got you lirica ilaricamente I got a Macerati GT/with Snakeskin up-holstery, Clapton impenna la sua chitarra in un penetrante assolo, capace di depennare le spennate pen(n)e della fragile ipocrisia. Le paure e le inibizioni della pubertà, anche se presenti nella casta stupidità di alcuni testi (What’s her name/I can’t tell you), vengono sradicate dal R-UMORE. Non basta la rabbia Mod o Rocker per portare avanti inCROCIATE spedizioni di rinnovamento. Occorre il grosso membro della riCREAZIONE che sputi sperma di gioventù. Ma la storia è anche fatta di compromessi. L’importante, però, è abbattere la diga che sbarra il
flusso del nuovo sangue. “Slowhand” abbandona. E’ troppo puro per compromettere il suo blues con la spinetta di Brian Auger (
For Your Love). L’alba è appena spuntata e un nuovo e più esuberante sole illumina il mattino. Il futurista Beck, esperimentatore incallito e padre dell’acid rock, ispiratore di gruppi come i Quicksilver Messenger Service di John Cipollina, spiega a chiare lettere e note, che si può fare blues con spirito innovativo e insolito. Ascoltate il finale di I’m a man, dove, in un duello crudelmente meraviglioso si affrontano la chitarra di Jeff e l’armonica di Keith, mentre intorno la musica si sta disintegrando. La ritrovata energia conduce al narcisismo acuto di Jeff’s bolgie , alla sperimentazione ritmica di Hot house of Omararshid, dove il raffinato talento voco-urlale di Chris può essere apprezzato all’inizio, quando viene quasi sgozzato da una impenitente Wobbleboard (vedi note di copertina), e dove (per i fortunati possessori della copia italiana o di quella mono americana) si può udire la lancinante chitarra di Beck trarre dalla tenebrosa oscurità presagi di buon raccolto-corpo=Rakkorpo. Il distorsore chiama a raccolta la paura, l’inibizione. L’effetto elettronico favorisce l’esibizione di sé stessi. Non giudicate spiccia e narcotica ingenuità verbale Shapes of Things. Essa racchiude in sé il turbamento caotico dell’anima corrotta e rimane comunque lapide sulla quale sta scritto PENSA VIBRANDO.
Nato per soffrire l’incapacità di se stesso, l’uomo può avere incoerenza d’identità. E così Jeff Beck lascia l’aia selvaggia per varcare la soglia della domestica fattoria, dove, al suono di
Love is blue, potrà cercare di conquistare il cuore dell’amata fanciulla. "Tu non puoi rimanere immobile e statico sul tuo lavoro. Devi essere più avanti del tempo." (Jeff Beck)
Voltiamo pagina. Jimmy Page, fauno dei
piccoli giochi, ci porta sulla wooden ship di White summer, ricordandoci che con Keith & Co si può sempre inventare Smile on me o Drinking Muddy Water. Così gli Yardbirds muovono nervosamente verso un nuovo concetto. Pressoché inconsapevolmente avrebbero posato le fondamenta per i supergruppi che avrebbero dominato il mondo degli anni ’70.

"Eravamo tutti ragazzi immaturi" confessò Jim McCarty ad avventura finita "sarà stata l’educazione, gli anni della crescita, non so.....soltanto che gli Yardbirds non sfondarono mai completamente. Si persero sempre un po’. Se avessimo avuto allora le cognizioni di oggi, saremmo stati fra i complessi più grandi."

La musica degli Yardbitrds, non ha sfuggito però la filosofia del
nuovo mondo, che è vita, energia, corda tesa come un nervo. Stealing Stealing ne è l’epitafio.

Criticati spesso per voler sempre inventare qualcosa di nuovo,abbiamo potuto forse dare finalmente ad altri la possibilità di fare quelle cose che tutti avrebbero voluto proprio fare. E qualcuno, per favore, accenda il giradischi e ascolti la nostra storia.
Libera traduzione del pensiero Yardbirds

Clap’t on your Slowhand, Beck into the future, while turn over the Page of revolution.

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Zeta

PRESENTAZIONE

11:42 domenica 25 luglio 2010


Nacqui all’inizio degli anni cinquanta. La mia infanzia e la mia giovinezza hanno vissuto il terremoto generazionale pop e rock. Sono state forgiate sin dall’inizio da quella che sarebbe diventata l’età d’oro , gli anni ’60, anni rivoluzionari in tutte le manifestazioni giovanili. Periodo di ottimismo che vide la gioventù orientarsi verso il nuovo, il moderno.
Non mi guardo indietro, la vita è breve e non mi piace farmi cullare dalla nostalgia. L’alba è sempre domani. Il passato può avere contorni un po’ sfumati e a volte incerti e nebulosi, ma il futuro più del presente ha i colori dell’istinto, dell’espressione, della fresca gioia zampillante.
RUMORI A COLORI
Il tempo passa in fretta e apparentemente senza meta. I ricordi del mio passato, senza la logica seriosa-culturale della età del senno, riaffiorano dai sentieri del vissuto, come visioni di un documentario disneyiano. Mi riportano al trascorso, tornano ad essere riconosciute. Sciolte le cinture di castità mentale, traspare un disegno colorato di mille sensazioni e stati d’animo. Frammenti dei giorni andati, fotografia del mutamento del linguaggio medio borghese in bianco e nero o delle rotture e dei salti di qualità della cultura recepita e/o prodotta coi colori delle immagini che abbiamo di fronte oggi. Ti viene la voglia di riprenderti la gioia, l’auto-ironia. La pupilla si dilata ritrovando al capacità di essere soltanto noi stessi. La musica è un qualcosa di indefinibile, un collage di parodistiche fughe e ritmi irritanti. Un accenno: una canzonetta pop o rock e si esce dal periodo buio. L’ambizione diventa realtà, l’encomiabile tempismo di produrre il rumore giusto al momento giusto. Non serve diventare serissimi e/o cercare di manipolare il cervello quando si ascolta. Basta un passo di danza, la possibilità di seguire il fili delle antiche idee, recuperare l’humour dei tempi migliori.
Non farò cabaret o avanspettacolo né sarò macchietta o effimera prostituta della moda, ma darò il saldo del debito accumulato. Sarò il ritorno alla lezione da non dimenticare. Chi come me ha attraversato gli ultimi cinquanta/sessanta anni di musica, chi ha vissuto l’epoca della
Swinging London, periodo di ottimismo e rivoluzione culturale, e dopo il terremoto punk e new wave si scopre affetto da uno strano sbattimento di gioia-compulsiva. Con gli occhi sbarrati si riscopre la mente in accordo con tutte le tonalità e sfumature dell’arcobaleno. Si ritrova l’oggetto e il suo uso, la consapevolezza di spendere parole attorno a questo gioco. Questo gioco che mi ha conquistato e stregato, che mi ha permesso di crearmi una piccola memoria collezionistica (circa 16.000 dischi), di collaborare con riviste e fanzine per scrivere dei miei gusti, di fondare con miei giovani friends un’etichetta (CRISE RECORDS) per promuovere il talento delle giovani generazioni e di fare il DJ per cercare di diffondere divertirmi e far divertire.
Una pallida scintilla riaccende i
bisogni, aspiro a nuovi prodotti. Il nuovo fiore mi fa sbocciare l’idea di comunicare attraverso questo blog, la voglia di parlare con voi, la voglia di imparare da voi. Forse le polveri sono un po’ bagnate, ma cerco una risposta alle molte contraddizioni che hanno sciolto le illusioni maturate. La maturazione, le responsabilità richiedono la costruzione di un impegno senza riserve, coerentemente diventato uguale e senza il famelico serraglio della vita dentro il meccanismo, programmato e giustificato fuori dal termometro ipocrita del perfezionismo.
Queste sono le mie e spero le vostre aspirazioni.

Benvenuti allo show che non finisce mai.

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Zeta