Neil FINN - Lo scalatore

08:17 venerdì 26 novembre 2010

Articolo pubblicato lo 04/03/2009 nella rubrica "UNDER THE HISTORY TREE" del blog "UNDER THE TANGERINE TREE".

Come posso spiegarmi ai ragazzi delle nuove generazioni che guardano il pop storcendo il naso?
Mettete sul giradischi o meglio nel lettore il CD, ascoltate e scoprite i disegni acquerellati di una semplicità disarmante, senza divismo o inutile vanità. Chiaro e bello questo musicista trasversale illumina con il suo soffio delicato il castello di carte delle nostre abitudini sonore. La sintonia che lega musica e parole vagheggia un’immagine che riesce a modellarci il corpo, un linguaggio sussurrato e non squassante ed irrimediabilmente piatto, conformato e sommerso. Si respira la prodigiosa abilità di fondere semplicità e raffinatezza. La sua "musica popolare" raggiunge livelli artistici duraturi, arriva a toccare l’essenza dell’umano, attraversa tutte le differenze sociali, di età o di razza. Sembra di entrare in un’altra dimensione, di diventare un tramite con qualche forza sopranaturale. John Lennon disse che si sentiva come un canale per
"la musica delle sfere, la musica che va al di là di ogni comprensione".
Mullane Neil Finn
nasce a Te Awamutu, Nuova Zelanda nel 1958. Amante dei Beatles, della melodia pop e della poesia racchiusa nei testi di Donovan, dimostra grande abilità nel combinare canzoni di alta qualità, con irresistibili melodie e meticolose liriche.
Va ad arrampicarti sul tetto al crepuscolo/con una vista di 360 gradi/mentre noi siamo di sotto/guarda l’evanescenza trasformarsi nelle stelle/siamo là/Dio segreto soffia il mio nome/ Dio segreto agita la polvere/sussurra il mio nome
Tutto ciò mi ricorda un altro posto
Il Lupo solitario scende dalle colline/e gira in circolo ululando alla luna/in un’altra vita sarà affascinato da una donna
Dio segreto agita la polvere/rianima il mio nome/sussurra il mio nome

Vedo un uomo crollare/sulla soglia di un ristorante/e offro la mia mano/sono l’unico là a rialzarlo

Secret Gog
Studia pianoforte, chitarra e mandolino e nel 1976 entra a far parte degli Split Enz, band di new wave australiana del fratello Tim. Con il gruppo incide 6 album. Un brano, I got you (scritto da Neil), e l’LP che lo contiene True Colours hanno un successo immediato e salvano il gruppo dall’oscurità e da un probabile scioglimento. Scioglimento che però avviene nel 1986, quando riesce a partorire i Crowded House, band che gli darà fama e successo e con la quale riuscirà a esprimere la sua ottima forma compositiva. Quattro Lp, uno più bello dell’altro. Per il suo contributo all’arte, viene insignito con il fratello Tim dalla regina Elisabetta di Inghilterra dell’alta onorificenza OBE.
Abbandonato il progetto Crowded House strane cose accadono nella testa del nostro musicista. Curioso ed con un senso irrefrenabile di nuovi orizzonti, con lo strano vizio del pop ci regala due gioielli solistici.
Try Whistlimg This (1998) e One Nil (2001) si insinuano nella cuffia stereo del desiderio di una esperienza interiore. Dischi magici capaci di mutare l’ordine e la sostanza nei loro solchi. Impossibile non ascoltarli almeno due volte di seguito. Il suono opera come detonatore dei nostri stati emotivi, un gioiello prezioso da mostrare solo a persone fidate, a volti sognatori imbarcati nella magia pop e come noi strani ma convinti fino in fondo nella speranza della trasformazione. Stati emotivi diversi ma sempre perfettamente eguali.
Il primo,
Try Whistlimg This, è scritto e suonato per chi può e ha voglia di immaginare. Ritmi, canti, disincanti e realtà urbana dal sapore sporco ma assolutamente dolce. Arcobaleno sonoro che fa venire le vesciche alle orecchie per il continuo ascolto. Rincorse estatiche che trascinano nella loro folle eccitazione. I testi con dentro un po’ di tutto, sensazioni che cercano conferma e speranza di stabilità, espressività timida, realtà romantica e un po’ alienata, il mito poetico dell’estravaganza di John Lennon, suo medium compositivo che sembra ritornare in vita.
Allontanati dal passato/dovunque tu sei, non rimanere lì a diventare vecchio/saggi occhi di leone/
io vorrei che tu fossi qui a dami consiglio/sogno datato di persona poco considerata/
farfalla o declino, è la mia chiamata/Nel club a mezza strada/whisky alle cinque, il ricovero di fine settimana/
coraggioso e giovane, i campanelli suonano/suonano il motivo, io sto intercettando l’azione/
sogno datato di persona poco considerata / farfalla o declino, è il mio richiamo

Dream Date
E’ la sostanza del lavoro che ci fa entrare in una zona critica, dove il giudizio potrebbe diventare estremamente soggettivo. E’ la quasi assenza di difetti. Sono le piccole ma luminose dimostrazioni di un’affascinante incapacità di conformarsi. I sogni troppo limpidi che agitano ma non sfuggono o si nascondono dietro la cronica impotenza di vivere la musica come diretta espressione del proprio io, della propria luce, del proprio amore.
Si parte in punta di piedi con l’evidente bellezza dell’autodisciplina
(Last One Standing) che maturando nel tempo si arricchisce di invenzioni musicali a configurare incastri di psichedelia semplice ma mai semplicistica, quasi casalinga ma sincera (Souvenir). Si intreccia il contemporaneo all’onirico, mescolando freschezza e misticismo (King Tade). Come nel Magical Mystery Tour si riguarda il passato. Senza la piantina di canapa o la foschia LSD il nuovo hippie si ritrova naturale e senza imbarazzo (Try Whistling This) e la meravigliosa (She Will Have Her Way): sarò vecchio ma mi sento come nuovo, lei dice/sono così dolente che potrei sempre piangere/nella notte stendi le tue braccia stanche/lei troverà la sua strada. Come un peccatore tra sequenze di sogno (Sinner) riapre l’orizzonte e rimpiazza John con Paul. Delicatamente ritorna ai r-umori della sua terra in completa sintonia con la coscienza delle vibrazioni positive (Twisty Bass e Loose Tongue). Nell’ascoltare la sua musica ogni frammento o respiro di suono porta alla luce il colore che sfugge, si frantuma e si ricompone, influenze che vengono riproposte per il futuro (Truth e Astro). Sempre in punta di piedi, attraversando l’universo, la sua voce ci abbandona, sorridente, piena di fragili emozioni, prodigio di semplicità melodica che sopravvive a sé stessa con l’incanto delle piccole cose e dei piccoli pensieri, evidente e sottile (Faster Than Light e Addicted). Ci rimane la voglia della continuità e l’emozione del riascolto - se se disorientato/e costringi lo sguardo di lato/e dici che sono assuefatto alla droga/ma so quando ne ho abbastanza/vieni fin qui.
Il secondo,
One Nil, è consapevole e maturo. Ha la maestria necessaria per giocare sulle e con l’emozioni di chi lo ascolta. Senza luoghi comuni s’innamora della dolce volubilità della musica. Il suono nasce lentamente e si dimostra di essere "il signore dei miracoli possibili". Non musica a gettone ma quello che volevamo, l’arma che manovra cervello e fibre nervose. Tuffo a capofitto nel mare del pop, dove i Baronetti ci ricordano che è la misteriosa creatura dalle cento teste, la mongolfiera dai grossi sacchi colorati come zavorra, il pallone che si alza tra gli ooh! della gente è imprevedibile ed imprendibile vola altissimo e lontanissimo dalle figure che vengono dopo e affogano nella sciocchezza. Sono le storie di un artista immaginifico, acquarelli color cielo di marzo, dolci e piacevoli, l’anima misteriosa che soffia la vita. Qua e là si aprono brecce di psichedelia provocante e agrodolce. Si incomincia così piano piano (The Climber), con una semplicità disarmante a offrire musica senza fronzoli o inutili vanità, la filosofia del raggio di sole fa scorrere sotto il suono e poi...(Rest Of The Day Off) uscita dalla bruma a respirare l’ottimismo del giorno, per rotolarsi nel fango dele sequenze musicali per creare "come facevamo prima". Pacatamente, alludendo alla serenità, alla gioia, alla vita, traspare tra le righe l’alito sottile Lennoniano (Wherever You Are e Last To Know). Senza tradire la generazione della memoria, l’elegia sonora si completa nel ricordo dei Fab Four tirando fuori dalla polvere la saggezza della Banda del Sergente Peppers e spiegando che si può ancora far qualcosa con chitarra e lingua lunga (Don’t Ask Why e Secret God e Turn And Run e Anytime e Driving Me Mad). Come gli estensori del suono Beatlesiano più impressionistico, ipotetico ed illuminato, i (ahimé) pochissimo conosciuti XTC, anche il nostro artista supera il confine pop divertendosi con Elastic Heart. Nella direzione del nuovo da scoprire verifica le frequentazioni dei suoi universi, come diffusore mondiale di polvere pop cosmica, getta un ponte tra fantasia ed espressività e senza metafore psicanalitiche nel tramonto (Into The Sunset) richiama "il giorno dopo".
Parafrasando la
band dei cuori solitari anche noi abbiamo messo, il giorno dopo, nel nostro cielo Neil e i suoi diamanti.

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Zeta

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