DUCKS DELUXE: PUB ROCK A 5 STELLE

13:28 giovedì 24 febbraio 2011

Articolo pubblicato il 29/05/2010 nella rubrica "UNDER THE HISTORY TREE" del blog "UNDER THE TANGERINE TREE".

La necessità della musica non esiste, paradossalmente è un bisogno “indotto", che fa comodo ai padroni del vapore che possono vendere qualche milione di dischi in più e guadagnare più soldi.
La generazione degli anni ’60 scopre però che fa parte dell’apparato genetico della razza e incominciano a masticare musica perché non se ne può fare a meno. Il pop e il rock’n’roll non sono timidi o ingenui agganci per uscire dalla crisi, diventano il modo per sconfiggere la monotonia, la tristezza, la noia di vivere e lo squallore umido dei sabati sera. Il suono vive della sua primitività fisica, pronta a trasmettere immediatamente il brivido dell’azione, a eccitare i muscoli, a mettere in movimento le fibre nervose. A provocare l’estasi aspra è il rock’n’roll. La rivolta si sviluppa con la complicità strutturale dei quattro accordi che aggiustano la comunicazione e la trasformano in avventura. La legano alla intuizione dell’aggiustamento dei sensi per l’elettrica stimolazione del vivere, irriconoscibile ed esattamente al contrario, un gesto emotivo che si può incriminare ma non derogare.

Quattro ragazzi dai capelli lunghi strepitano e danno gioia alla propria generazione e sono già la risposta allo spartito con su scritto “ andante moderato molto bianco . La dicitura diventa “ fortissimo sporco strisciante”. Si aprono le stanze delle “cose che contano”. La protagonista diventa la musica nella sua fiammeggiante esistenza, cade a strapiombo nel cervello e a dispetto del glaciale silenzio corre verso la novità. Magari si rivernicia, viene recuperata e ricamata, ma rimane intelligente nella sua paranoia senza vuoti di ispirazione, testarda nel suo battere (beat) , con l’ipotesi di attestarsi nella scena giusta, in cerca di osanna. Astuta si mette al tavolino delle emozioni e dimostra la affascinante capacità di trasformarsi. Si consacra alla psichedelia, al revival blues, alla furia dell’hard rock, si apre ai suggerimenti jazzistici, approda nell’ ambiguità del glam, costruisce con tecnica soffice e acuta il progressive.

In qualcuno, però, serpeggia il dubbio che la musica stia volando via e che stia accadendo qualcosa che a nessuno era chiaro cosa fosse. Si era tutti immersi negli affari e non si capiva che eravamo sempre bastardi, anche se intelligenti. Accecati dalla approvazione nei confronti di questa evoluzione, la si cercava completa, totale, quasi a sconfinare nella passione, mascherata dal sacerdozio discografico. L’ordigno veniva disinnescato e del ”geniere” appassionato che sputava gioia (il rock'n’roll) non rimaneva che il ricordo, nemmeno “consolato” dalla voce, che diventava lamentosa e aveva il timbro pallido della morte. Si stava perdendo con questo estremismo l’irrazionalità, il medium sensuale che sosteneva il nostro cuore e suscitava e faceva scaturire dal nulla torrenti di energia e parlava in modo chiaro anche se drammatico. La musica diventava sempre più pretenziosa. La Terra d’Albione del rock era caratterizzata in massima parte dai travestimenti del glam, del progressive, del pomp, dell’art-rock. Questo nuovo rock sembrava affetto dalla sindrome di Narciso, condannato ad innamorarsi della propria immagine e che resosi conto della impossibilità della sua passione, arriva a lasciarsi morire.

In un certo senso bisognava cambiare metodo. Basta paillettes e lustrini; era ora di riindossare jeans sdruciti, giacche di pelle e riaprire il calderone degli “ ameircan roots” (blues, rock’n’roll, rythm & blues, country, ecc.). Quasi come un immagine di B movie degli anni ’60, come un luogo per sognare rockville e dintorni, nasce il Pub Rock, movimento musicale dei primi anni settanta, incentrato attorno al nord di Londra e sud est di Essex, particolarmente Canvey Island e Southend on Sea. In un certo senso un fenomeno britannico non molto diverso dal roots rock, e che consisteva praticamente in band dall’impronta mod che suonavano rock'n'roll, country e blues, con iniezioni di beat e english sound, nei locali e pub dell'Inghilterra. Era musica essenzialmente dal vivo, live. Abbandonare le arene, gli stadi e scaricare gli amplificatori nei back-rooms dei pub, nei clubs e realizzare il proprio sogno di vivere il rock “nudo e crudo" come musica senza tempo, come migliore esperienza di vita. Il gioco sta nella ricostruzione ironicamente riciclata ma contagiosa dell’entusiasmo che sventola in noi, la voglia di alzare ansiosi una pinta di birra Dosh e sentire rock’n’roll. Al “bischero” che non capisce il trucco e la etichetta di essere un po’ vecchiotta e kitsch, rispondiamo: certo che è così, e come potrebbe essere? Divertiamoci e basta ! Questa è una colpa ?

"Tutte queste band suonavano musica buona per bere e ballare. Le radici english pop e american roots erano ben visibili" (Martin Belmont chitarrista dei Ducks Deluxe).

Le maggiori band pub rock come Brinsley Schwarz, Ducks Deluxe, Bees Make Honey, Ace, Dr. Feelgood connotavano influenze tradizionali. Questo genere sorse in contrasto con ciò che dominava le classifiche britanniche. Conseguentemente, i gruppi avevano problemi a trovare posti per esibirsi, e crearono così un circuito suonando in locali nascosti sparsi per l'Inghilterra. Fu un movimento underground che, anche se poco conosciuto e apprezzato da noi, è il filo rosso che collega il mod sound dei mid sixties al mod revival degli anni ottanta. Inoltre, non bisogna dimenticare che il movimento ispirò e pose le basi per il punk rock, infatti molti esponenti del pub rock inclusi Nick Lowe dei Brinsley Schwarz, Joe Strummerdei 101'ers, Elvis Costello dei Flip City, Ian Dury e Graham Parker dei Kilburn & the High Roads diventarono importanti esponenti del neonato punk rock e del successivo fenomeno new wave.

Campioni del più tipico pub rock londinese, i Ducks Deluxe si formano dell’agosto del 1972 su iniziativa di Sean Tyla (ex chitarrista degli Help Yourself), che trova aiuto in Ken Whaley (altro Help Yourself), Martin Belmont ( ex roadie dei Brinsley Schwarz ) e Tim Roper. Se ne va subito Whaley che viene sostituito da Nick Garvey (manager dei Flamin’ Groovies) e con questa formazione incidono nel 1974 per la RCA l'omonimo album d'esordio, prodotto da Dave Bloxham, dove riescono a catturare il fuoco e l’eccitazione del live. E’ un gran disco per ballare e bere, non è destinato all’analisi critica. Il clima live si percepisce subito dal brano di apertura, Coast to Coast, primo singolo della band, e censurato dalla BBC per il suo riferimento alle droghe. La voce gutturale di Sean Tyla influenza con un trainwreck strascicato la canzone che sembra dire "siamo qui per il rock", e la competente chitarra di Belmont ci riporta alle radici, a Duane Eddy, al riverbero nasale della chitarra. La voce cupa e baritonale di Garvey ci regala Nervous Breakdown, puro rockabilly style che suona come un incrocio tra Eddy Cochran (sua cover) e il country blues maniaco e irruente, quasi involontario prototipo del futuro punk. Uno dei miei brani preferiti, Daddy Put the Bomp, rallenta la tensione ma ribolle di groove funky. E’ composizione di Tyla, dall’ anima spavalda e dal sapore di New Orleans e swamp rock e Allen Toussaint, scritta nonostante il fatto che all’epoca non aveva mai visitato gli States.

"Sean scriveva canzoni sull’America, posto in cui non era mai stato, e io ero un chitarrista solista, cosa che non ero mai stato, fu la combinazione ideale" (Martin Belmont).

L’amore per il soul della Stax si esprime con I Got You. Il capolavoro pop Please Please Please, di scuola beatlesiana e non solo per il titolo, combina accettazione e vulnerabilità, perfetto nella voce strozzata e nella melodia accattivante, sintonia incredibile dove Belmont cristallizza alla Gene Vincent una chitarra chiara e pulita in un tema senza tempo. Il treno merci (merce pregiata ndr) Ducks Deluxe, scappa sui binari e assume una velocità pericolosa. Attraversa il paese Velvet Undergroud e, ispirata a Sweet Jane (per loro stessa ammissione), prende spunto Fireball, brano dal big beat e dal ritmo solido. Don’t Mind Rockin’ Tonite è un incrocio pericoloso con deviazione verso il southern rock benedetto da Chuck Berry, sostenuto da un riff poderoso e circolare tipico della terra texana. Durante la traccia, incontriamo un passeggero a bordo: è Bob Andrews dei Brinsley Schwarz, che contrappunta col pianoforte. Spensierata, godibile e senza indugi viene cantata con un finto imbarazzo Hearts on my Sleeve, con l’ingenuità del primo beat. Piccola sosta per caricare sul treno musicale la sezione di fiati dei Sons of the Jungle Horns, e far scaturire la splendida ballata Falling for That Woman, dal sapore soul e R&B alla Otis Redding. Tyla con voce dylaniana e con il ricordo della Band periodo Big Pink, si e ci immerge nella provincia americana e con pura fantasy inglese ci canta il country rock convincente di West Texas Trucking Board, atto d’amore supremo per uno che in Texas non c’era mai stato. Una parentesi sofisticata e un po’ funky, Too Hot to Handle, e si chiude con la seconda cover dell’album, It’s All Over Now, southern rock classico di Bobby Womack ma che in realtà tutti ricordano come brano dei Rolling Stones con aplomb gioioso e teso.

Nonostante la buona accoglienza da parte della critica, l’indifferenza commerciale, destino di tutte le pub rock band, farà si che il successo non sarà mai grande, niente faville di vendite. L’idea dell’amico Dai Davies di farli suonare insieme e di fare il loro manager rimane una “buona idea” e ci regalerà una lunga serie di concerti (che immaginiamo divertentissimi) e, con la produzione di Dave Edmunds, alla incisione di Taxi of the Terminal Zone ( RCA 1975 ), altro disco molto convincente e che svilupperà ancor di più l’ispirazione rollingstoniana e country rock all’inglese (Mott the Hoople per esempio). Viene assunto un tastierista, Andy McMasters e si ritorna in studio a Monmouth, ai mitici Rockfield Studios. Il nuovo lavoro sviluppa sempre un mix di blues-boogie aromatizzato alla Rolling Stones, un rockabilly filtrato dalla cultura pop britannica, e si trascina e si strascica con i tre accordi alla Chuck Berry-style, che costituiranno terra di conquista per le future generazioni punk rockers. Personalmente, lo considero leggermente meno entusiasmante rispetto al primo, anche se la linea della promise land di Chuck Berry con cipiglio anglosassone viene mantenuta.

Piccoli gioielli sonori sono contenuti anche in questo scrigno: l’apertura Cherry Pie, deliziosa torta dal gusto e stile Stones con chitarra ispida e battito incessante; la vibrante felicità di It Don’t Matter Tonite, tesa e gioiosa tra amore e tradimenti; la trasparente I’m Crying, nel sottile stile chitarristico di Belmont e nella voce soulful di Garvey che accarezza il testo lasciando scorrere intorno l’emozione. E poi la confezione infettiva pop di Love’s Melody, scritta da McMasters, dalla melodia irresistibile e grassa nel suo stile anni ’60 con il riff di Belmont; l’omaggio ai Flamin’ Groovies con Teenage Head, chitarre spumeggianti e ritmi duri; il classico country & roll di Rio Grande; il pop & roll aromatizzato di My My Music, detersivo musicale per la nostra mente; Rainy Night in Kilburn graziosa ballata cullata dalle tastiere e dalla voce tranquilla e elegante di Belmont. Per non dimenticare Woman of the Man; R&B di stile con respiro mod e Paris 9, delirio spensierato che evoca i Mott the Hoople, armonie forti e big beat con un riff tastieristico infernale alla Jerry Lee Lewis. Un respiro d’aria fresca per noi che abbiamo in mente la rockin’ tonite o qualsiasi altra notte di jam session improvvisate. Ma l’esperienza sta per finire e le strade si dividono. Ancora un ep, Jumpin’, pubblicato dalla indipendente olandese Skydog, poi Garvey e McMasters se ne vanno a formare i Motors, Belmont raggiunge i Rumours di Graham Parker e Tyla raggiunge e visita finalmente gli USA dove fonda la Tyla Gang. Nel 1979 un'altra indipendente olandese, la Dynamite, pubblica Last Night of a Pub Rock Band, doppio LP registrato live al 100 Club di Londra il 1 luglio 1975, epitaffio sonoro della band che regala di nuovo alle nostre orecchie la magia del pub rock.

Poi Ducks Deluxe finì per l’ultima volta e disse "attraversiamo la strada". E tornò a casa.

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Zeta

Articolo pubblicato il 23/08/2009 nella rubrica "UNDER THE HISTORY TREE" del blog "UNDER THE TANGERINE TREE".

A costo di passare per reazionari, i Flamin’ Groovies entrano in scena con il loro schietto e spumeggiante rock’n’roll quando il pubblico californiano sta ascoltando tutt’altra musica. E’ il 1968 , sta nascendo il movimento hippy, sono i giorni dell’acid rock, del flowers power, della psichedelia. Il Paradiso è lì, a portata di mano. Inizia una festa senza precedenti, fiori e sole, pace e amore, colori e tanta musica. Sono i giorni dei Jefferson Airplaine, dei Grateful Dead, dei Quicksilver Messenger Service, e in Inghilterra si canta Let’s Go To San Francisco ( Flower Pot Men ) e si sogna con San Franciscan Nights ( Eric Burdon ). La loro musica, però, non intende piegarsi al vento della moda o al compromesso, scrive col sangue un patto infernale, vuole per davvero vendere l’anima al Rock’n’Roll. Fedeli ad una certa tradizione di rock’n’roll e di R&B bianco sembrano anacronistici, ma il revivalismo di Roy Loney e Cyril Jordan non è confusione ideologica o incapacità di progettare alternative reali. E’il relativismo delle mode nella musica, si esprime come posizione filosofica che nega l'esistenza di verità assolute, e mette criticamente in discussione la possibilità di giungere a una loro definizione assoluta e definitiva, priva di convenzioni e senza esteriorità.

Il gruppo californiano nasce nel 1965 come Chosen Few con Cyril Jordan, Roy Loney, Gorge Alexander, Tim Lynch; con l’inserimento di Ron Greco cambiano il nome in Lost & Found e iniziano a suonare in piccoli locali della Baia la loro musica a base di covers di R&B, R’n’R e Mersey-beat . Dopo breve il gruppo si scioglie e nell’estate del 1966 Jordan e Lynch di ritorno da un viaggio in Olanda lo riformano con il nome di Flamin’ Groovies e con un nuovo batterista, Danny Mihm. Stentano a trovare un contratto, così decidono di autogestirsi; fondano l’etichetta Snazz e pubblicano Sneakers, leggendario disco passato alla storia anche per l’insolito formato 25 cm (10 pollici); é stampato in sole 2000 copie distribuite ai concerti del gruppo. Sette brani di Loney, grasso e sporco rock’n’roll con un mix di blues e beat che getta uno spruzzo liberale e freak sul lavoro. L’incredibile successo di critica impressiona e attira immediatamente l’attenzione della Epic che offre loro un contratto da 80.000 dollari (cifra molto alta per l’epoca, dollari del 1968) per la registrazione di Supersnazz . Il disco è ottimo e mette in luce tutta la potenzialità dei Groovies, ma risente della insufficiente produzione di Stephen Goldman che rende il suono piatto anche se le composizioni del duo Loney-Jordan sono eccellenti. La Epic tuttavia da scarsa promozione, ed il conseguenziale mancato successo delle vendite induce l'etichetta stessa a sciogliere il contratto.


I nostri prendono in gestione il Fillmore West per cercare di riproporre il vecchio sound di San Francisco, ma è un fallimento poiché i gruppi della Baia non vi vogliono suonare e la band si trasferisce a New York dove conoscono Richard Robinson che gli fa ottenere un ottimo contratto con la Kama Sutra. Tra il 1970 e il 1971 incidono due album , Flamingo e Teenage Head, entrambi prodotti dallo stesso Robinson. Teenage Head è considerato il momento più alto dei primi Groovies, e sarà paragonato più tardi a Sticky Fingers degli Stones ( ascoltate Yesterday’s numbers, per molti la più bella song dei Rolling non scritta da Jagger&Richards ). Anche se furono dischi accolti con entusiasmo dalla critica e fondamentali nella storia del rock’n’roll non ebbero riscontro nelle vendite. Subito dopo, purtroppo il gruppo si sfalda; Loney se ne va per dissapori musicali con Jordan e Lynch viene arrestato.Vengono sostituiti da James Farrell e Chris Wilson, che diventa il nuovo cantante ed il compositore del gruppo con Jordan. Cambiano nome in DOGS.

A tirare su il morale della band è la notizia che il gruppo è adorato in Europa ( Francia e Olanda ), e il crescente interesse del pubblico europeo, superiore a quello americano, provoca l’intervento di David Lauder, responsabile della United Artists che finanzia un Tour di oltre duecento date e li porta ai mitici Rockfield Studios per l’incisione di cinque 45 giri di cui solo due verranno pubblicati. Ridiventano Flamin’ Groovies. In Inghilterra il successo é enorme e con l’aiuto di Dave Edmunds tornano in studio per un nuovo album. Avrebbe dovuto chiamarsi Bucketful Of Brains, ma non fu edito poiché la produzione riteneva il loro sound troppo Beatlesiano e bocciò canzoni come You Tore Me Down che qualche giornalista definìrà in seguito la più bella canzone dei Beatles non scritta da Lennon&McCartney. Delusi dal comportamento della UA che volle interferire nel loro lavoro, prima di natale ritornano a casa, negli States. Nuovo periodo di crisi. Senza contratto per quasi tre anni si disperdono in varie attività extramusicali. Mihm se ne va e viene sostituito prima da Terry Rae e poi David Wright. Ma l’amore dei fans europei fa pubblicare alla olandese Skydog l’Ep Grease con la stupenda cover di Jumpin’ Jack Flash, fa ristampare Sneakers nel formato originale in 10 pollici e altro materiale inedito. L’amico Greg Shaw (grande intenditore di pop music e produttore) con la sua Bomp Records pubblica in Usa la bellissima You Tore Me Down, e l’insistenza del loro grande estimatore Dave Edmunds induce la band a firmare un nuovo contatto con la Sire. E’ il 1975. Ritornano in Europa, e all’Olympia di Parigi tengono un trionfale concerto (1 novembre) che manda in visibilio il pubblico e le loro quotazioni in Francia.Ai Rockfield Studios con Edmunds e con la sua complicità riprendono la corsa verso il ritmo travolgente, liberando il gergo come specchio di una generazione inquieta, disperazione o destino, legame fatale o incontro esplicito che si rigenera dallo stimolo che ne deriva. Viene inciso Shake Some Action ed inizia un nuovo corso. Il sound è vivacissimo, un beat fresco e intenso che fa riscoprire l’ebbrezza dei garage groups facendo sognare nuovi Cavern e nuove Please Please Me. Il suono è più inglese, perfetto come nei Beatles, splendidi brani originali e azzeccati ripescaggi (Beatles, Charlatans, Lovin’ Spoonful); nella rara brillantezza pop tenera è la nota dei ricordi che mettono in risalto il … vecchio beat (sigh!), con il mito del boyfriend,delle ragazzine, degli amori giovanili.

cerchiamo di far rivivere un’epoca ormai andata dispersa” dichiara in una intervista Cyril Jordan all’uscita dell’album.

Così è se vi pare” scrisse Pirandello, per spiegare il tema della inconoscibilità del reale e ognuno può darne una propria interpretazione che può non coincidere con quella degli altri. Come ripete la donna misteriosa “io sono colei che mi si crede” come la loro musica che ci fa partecipare non solo con le orecchie, ma con il corpo intero. Riaffiorano improvvisamente le recite vezzose e periferiche del beat inglese, la frangetta a la Beatles, l’appello di Jagger principe delle Pietre Rotolanti. La scena pop riscopre finalmente la sua vocazione essenziale e provocatoria.
Lo spettacolo sfrenato e aprioristico ridona alla musica il suo ruolo. Viene aperto l’archivio del pop e il sound riconquista il terreno perduto e prende coscienza. E’ una pioggia di meteore mai destinate a spegnersi nella notte pop/beat/rock’n’roll illuminata da un pugno di folli marziani. I Flamin’ Groovies tornano dal buio del tempo immutati ed entusiasti del loro ruolo.

Si snodano i primi accordi di chitarra di Cyril Jordan che sostenuta dal basso Hofner di Gorge Alexander introducono la fantastica Shake Some Action dal profumo British invasion con l’immaginazione creativa di una visione sonora travolta dalla lingua delle origini Byrds e degli intrecci vocali alla Big Star - Yes It’s True nuvola di energia creativa che si posa sul fiume Mersey e sui nostri ricordi - l’atmosfera si colora di vecchie passioni blues e rock and roll dei fifties e autorizza il restauro di St. Louis Blues, purista ma con un impronta personale - segno della permanenza del comportamento I’ll Cry Alone sovrappone l’immagine di Jagger a quella di John-Paul-George-Ringo dondolandoci allegramente - riproposta d’autore, Misery, uno dei primi brani dei Fab Four che ho ascoltato e amato (n.d.a.) -il gustoso dessert Please Please Girl diventa un volantino propagandistico di promozione musicale - e conclude la facciata A Let The Boy Rock’n’Roll, hit dei Lovin’ Spoonfull, solido ed impertinente che ci riporta all’America del pop and roll.

Giriamo il disco e incontriamo subito Don’t You Lie To Me che ci restituisce un Chuck Berry in formato great rockandroller, ed è la maestra severa che impone il rispetto della tradizione - ci esaltiamo con She Said Yeah e Sometimes di Paul Revere & the Raiders, eccitanti e ruvide come il sound che usciva dai garage americani – I Saw Her, compagna di solitudine, esce dal ghetto delle emozioni per raccontarsi - l’orecchio si nutre di buone vibrazioni con You Tore Me Down, meravigliosa cartolina beatlesiana della quale abbiamo già magnificato in precedenza nell’articolo, che ci proietta nell’orto dei desideri, della scoperta per farne marchio di qualità - si creano immagini vere vissute sincere con una loro ragione di esistere con Teenage Confidential, dolce penetrante e avvolgente come conforto espressivo che richiama i sogni e disperde i nostri fantasmi - c’è la sfrontata ed impertinente semplicità in I Can’t Hide come esprimeva Alex Chilton con i suoi Big Star.

Musica ascoltata al suono della musica.

Skake Some Action è considerato unanimemente l’album migliore della carriera dei Flamin’ Groovies e musicalmente apre un nuovo corso. Viene pubblicato per primo in Francia dalla Philips per assecondare il mercato, e poi in Inghilterra e negli Usa con un miraggio decisamente e sostanzialmente migliore della prima frettolosa versione. In seguito Farrell lascia e viene sostituito da Mike Wilhelm, ex Charlatans e ex Loose Gravel, e la storia continua. Nel 1978 incidono Now, ( l’album più venduto della loro carriera ), e nel 1979 esce Jumpin’ The Night. Poi una nuova crisi, nuovi abbandoni e nuovi scioglimenti fino al 1986, quando si trasferiscono in Australia dove incidono per la locale AIM . Nel 1990 termina la favola dei favolosi Flamin’ Groovies.

Piaccia o no, la loro ostinata fede ed LP come Shake Some Action hanno rappresentato il trionfale ritorno dei sixties e del fottuto rock’n’roll, che si proietterà poi in punk-o-rama ed esalterà i nuovi kids londinesi. Eddie & the Hot Rods,Sex Pistols, Clash, Damned, Buzzcocks, Joy Division, Killing Joke, Slaughter & the Dogs ed Elvis Costello giocheranno abilmente la partita sul tavolo dell’illusione. Di lì a poco il punk, la new wave, l’energia proletaria riscoprirà il fascino dei “tre minuti una canzone”, dei “rigidi ritornelli”senza più assolo telecomandati. Giovannino Marcio (Johnny Rotten) ringrazierà il peccato originale dei primi esperimenti beat dal ritmo assassino, i Ramones semineranno arsenico e paura nell’ ”orto botanico” dei sixties, Eddie & the Hot Rods porranno la fatidica domanda “Are You Ready? Do You Want To Rock and Roll ?” prima di attaccare Gloria o Satisfaction.

"Ed ecco, o signori, come parla la verità! Siete contenti?"

"L'arte e la musica non solo vanno fatte ma vanno anche recepite per quello che sono, senza secondi fini. Solo così c'è divertimento. I soldi, il successo, la carriera sono tutta un'altra storia e, per quel che mi riguarda, non mi interessano. Se mi fossero interessati i soldi, mi sarei dedicato a computers e cose simili ed avrei mollato da tempo il rock'n'roll" - intervista a Cyril Jordan, 1987.

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Zeta